Il rischio di abituarsi: “Riflessioni per il nuovo anno".

 




Partecipare per crescere Ci stiamo pericolosamente abituando ai tanti orrori quotidiani, che ci parlano di guerre, violenze di genere, adolescenti in difficoltà, discriminazioni, difficoltà economiche, carenza di lavoro... e tanto altro.

Siamo saturi di cattive notizie, passano in rassegna con una bulimia inquietante, a volte le evitiamo, per non esserne sopraffatti.

Le notizie vengono date in pasto senza un criterio, si passa da una atrocità alla ricetta del polpettone, una sorta di pornografia del dolore.

Una miscellanea indifferenziata, che sfinisce e anestetizza.

Tutto corre, palpita, nevrotizzandoci e rendendoci sempre più fragili.

L'impressione che si fa spazio è quella di stare in continua apnea, in sospensione, una perdita di contatto con la terra, con la natura, con la consapevolezza, con il piacere dell'apprendere. Questo è il clima emozionale che la maggior parte delle persone vivono.

Una disumanità che avanza assumendo corpo e sembianze dentro infiniti linguaggi.

 

L'importanza dell'educare

Educare è far venire alla luce, far fiorire, creare, in questo clima distopico è sempre più difficile ritrovare la strada maestra, che ha a che fare con il desiderio, la passione, l'audacia, la ricerca e lo sperimentare.

Avverto la stanchezza degli educatori e degli insegnanti, come se fossero svuotati, demotivati, procedono in solitudine senza quella luccicanza necessaria, vitale, l'unica capace di trasformare, inventare, risolvere, promuovere legami solidi e solidali.

L'arte dell'educare ha una sua complessità e difficoltà, se non ravvisiamo nel percorso, il suo profondo fascino, rimane soltanto la fatica, la frustrazione, l'impossibilità di portare avanti progetti e visioni condivise.

Abbiamo una grande responsabilità, come educatori, quella di ribellarci alle abitudini, alle routine quotidiane acritiche, spente, prive di interesse e motivazione. 

 

La ribellione gentile

Per cambiare il passo e pretendere l'attenzione istituzionale che un luogo educativo merita, dobbiamo ribellarci, con costanza e coerenza, dobbiamo diventare un martello pneumatico morbido ma presente, che deve scandire il ritmo di questa ribellione necessaria e non più procrastinabile.

Tutte le agenzie educative sono in sofferenza, ma l'urlo è muto, piegato, a tratti sottomesso allo status quo, non riusciamo a fare fronte comune, con la schiena dritta di chi rivendica i diritti inalienabili di tutti i bambini e le bambine a vivere pienamente e con uguali condizioni dignitose di base nelle loro famiglie, nelle loro case e nella scuola di ogni ordine e grado.

Il malessere sociale ha tante facce e responsabilità, si è insinuato ovunque, portando con sé destabilizzazione e sofferenza psichica e fisica. Prima che il torpore annichilente ci inghiotta nelle sue spire è nostro dovere dare un colpo di coda e uscire da questa nebbia scura esistenziale che sta intossicando ogni cosa, rendendoci schiavi della paura di vivere e di osare.

 

Dalla comunicazione violenta alla comunicazione non violenta

Il filo conduttore che caratterizza questi nostri tempi è la comunicazione, un vero e proprio bombardamento mediatico il più delle volte aggressivo, non c'è trasmissione, dalla più leggera a quella apparentemente più impegnativa che non utilizzi il conflitto, per aumentare lo share, "guerreggiare" è la modalità prescelta, soprattutto le giovani generazioni stanno crescendo con questi esempi comunicativi, ovvero:" per avere un tuo posto nella società, devi importi, essere competitiva/o, aggredire, alzare la voce". Tutti ingredienti tossici che non vanno nella direzione giusta!

Se non c'è conflitto non c'è interesse! Questo è l'humus dominante.

Questo modus vivendi si è imposto, come un virus ha permeato tutti i gangli comunicativi, reali e virtuali, procurando non pochi danni.

Cambiare rotta non solo è diventato auspicabile ma urgente.

La comunicazione non violenta deve diventare un allenamento costante, una presa di coscienza, una dichiarazione consapevole di quanto arrendersi alla gentilezza sia un atto dovuto ed etico.

Essere gentili non significa non essere autorevoli, la potenza costruttiva della gentilezza e della presenza non l'abbiamo ancora profondamente sperimentata.

Parliamo di violenza di genere e su come possiamo contrastarla, ma contemporaneamente i modelli dominanti comunicativi ci narrano la prepotenza quotidiana, nelle sue molteplici declinazioni. Mi chiedo, come sarà possibile crescere una generazione più dedita alla gentilezza se gli adulti di riferimento non sanno dialogare con rispetto, ascolto, pacatezza.

Le motivazioni per "infiammare" ogni conversazione sicuramente esistono, ma è proprio lì il nodo cruciale da sciogliere, rinunciare alle barricate, allo scontro di opinioni, al prepondere, al pregiudizio.

Incontrarsi è altro, è darsi il tempo della conoscenza, è saper aspettare e ascoltare in profondità. 

Un percorso impegnativo, dal quale non possiamo più esimerci.

La prima guerra da contrastare è quella che ci portiamo dentro.


Anna Maria Mossi Giordano, già educatrice nei nidi pubblici di Roma  già educatrice nei nidi pubblici di Roma

 

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