Partecipare per crescere...
Provare a raccontare una professione che ha a che fare con le relazioni, non è semplice.
È necessario essere sincere, autentiche... senza filtri. Decidere di studiare per diventare un'educatrice è stato un misto di casualità e volontà.
Il destino e gli accadimenti familiari hanno segnato per me questa strada, quando ho iniziato non sapevo tutto quello che avrei incontrato, quanta vita sarebbe passata sotto il mio sguardo, quante emozioni avrebbero bussato alla mia porta.
Il nido è un crocevia di umanità varia, ognuno porta la sua esperienza, i suoi colori e odori, le sue tradizioni e storie da raccontare e condividere.
Una comunità educante ha per sua natura un cuore pulsante per la vita che scorre e si manifesta, insieme a tutte le sfumature emozionali possibili, compreso il dolore.
Un concentrato di accadimenti che assumono corpo, sostanza e accoglienza attraverso chi li abita e li sostiene.
Nel nido si mettono i primi mattoni del condividere, si impara ad ascoltare, ad aspettare, a fare spazio. Un ricamo costante per costruire un ordito complesso, dove la relazione umana è il suo fulcro, la sua essenza, la sua ragione primaria.
Una grande opportunità
Il nido può essere una grande opportunità di crescita per tutti quelli che lo frequentano a vario titolo, non solo per i bambini e le bambine.
Per tanto tempo, per me e le mie colleghe il nido ha rappresentato un cerchio dove l'operato della singola persona era in stretta interconnessione con tutti gli altri.
Abbiamo voluto e imparato giorno dopo giorno a costruire un “NOI” credibile, a prenderci cura, nell'ottica di impegnarci a creare " armonia" e alleanza educativa, spinte e motivate dal pensiero di voler stare bene insieme.
Non è utopia pensare che una comunità educativa che funziona, pensando e agendo, possa attivare ben-essere, solidarietà e vicinanza.
Io ho vissuto questa condizione e mai come adesso c'è la necessità di ridare fiducia, attenzione, visione pedagogica. È troppo il malessere sociale, l'aggressività, la violenza di genere che vediamo ogni giorno mostrare le sue stigmate profonde.
Penso sia urgente riflettere su questi disagi dalle molteplici facce, iniziando dalle comunità educative.
Dobbiamo riprendere in mano il timone educativo e culturale con l'obiettivo primario di porci spesso una semplice ma importante domanda: come stanno i bambini/e? Come stanno i genitori? Le famiglie? Come stiamo noi educatori/i? Quale atmosfera si respira nell'intero contesto educativo?
Iniziamo dal nido
Il nido è una palestra di vita, ogni incontro aggiunge un tassello fondamentale alla nostra conoscenza e consapevolezza.
Ogni famiglia, qualunque essa sia e formata, che inizia questa avventura ci dà la possibilità di confronto, di apertura all'altro diverso da noi.
Sogno comunità educative più aperte al territorio, una rete comunicativa e progettuale con i consultori, i centri anziani, le associazioni.
Un humus intergenerazionale, capace di confrontarsi, interagire, co-creare sentendosi parte integrante della comunità alla quale appartiene.
Purtroppo la burocrazia eccessiva e le scelte politiche che non hanno privilegiato il “ Noi" hanno minato e reso molto difficile questi scambi così importanti ed evolventi.
C'è stato un tempo, a mia memoria , vissuta ed esperita che ha consentito questi confronti, progetti educativi andati in porto nell'ottica di una pedagogia viva, dinamica, che si confronta e si apre al mondo, tenendo aperte le "porte" alla cultura, all'arte, alla musica, alla solidarietà, alla partecipazione, alla felicità!
La tranquillità dell'agire
Dalla mia lunga esperienza ho potuto constatare e verificare quanto sia importante e necessario che una comunità educante possa e debba essere flessibile, aperta al cambiamento, non irrigidirsi nelle molteplici regole imposte, nei mille cavilli burocratici da espletare che distolgono dalla relazione con i bambini/e.
Stare e sostare con i bambini e le bambine significa ( o dovrebbe significare) avere la mente sgombra da altre pressioni quotidiane perlopiù inutili alle quali noi educatrici/ri spesso siamo chiamate/i a rispondere, magari mentre siamo immerse e concentrate in qualche attività o regia educativa o per seguire un input creativo che qualche bambino/a può suggerire. Certi istanti speciali sono irripetibili, non possono attendere una telefonata, una distrazione, è un qui ed ora che chiama alla presenza e all'ascolto.
L'impressione è che siamo molto meno libere/i di agire, di inventare, ovviamente nella consapevolezza e nella conoscenza educativa che deve sempre rimanere attiva. L'educatore oggi non ha questa libertà, è stato ristretto notevolmente il suo raggio d'azione, la sua libera iniziativa e di conseguenza la sua autorevolezza. Deve rispondere ad una scala gerarchica che non sempre è facilitante e pronta ad accogliere novità, sfide, audacia educativa. Viene chiesto sempre di più agli educatori e alle educatrici di diventare una sorta di “ manovalanza multipla”, dei tuttofare, come se avessimo a disposizione quattro braccia, quattro gambe, quattro mani. La contraddizione è palese, spesso abbiamo così tanto da fare contemporaneamente, che perdiamo per ovvie ragioni quella tranquillità necessaria che richiede e reclama la relazione con un bambino/a.
Il tempo per la relazione
La relazione vuole un tempo e uno spazio, relazionarsi adeguatamente e' come partecipare ad un rito, comunicare e' una danza, va rispettato lo spazio dell'altro, le sue modalità espressive, le sue emozioni. Per chi educa e' un aspetto fondamentale che non può essere trascurato o sottovalutato.
Purtroppo con il passare degli anni determinate regole hanno ristretto lo spazio e il tempo che possiamo dedicare alla comunicazione e alla relazione con le famiglie
Ci sono storie assurde accadute, dove delle educatrici sono state prese di mira con lettere di richiamo per aver semplicemente preso delle iniziative nella direzione della collaborazione e alleanza educativa.
Per fare un esempio:”aver coinvolto un genitore a portare un sacco di brecciolino per sistemare un pezzo di giardino ha significato una lettera di richiamo e un provvedimento disciplinare per una collega che aveva soltanto messo in pratica ciò che si è predicato nelle varie formazioni”.
Si commenta da solo tutto ciò.
Potrei raccontare tanti di questi episodi
Non so quanto potrà essere percorribile un cambiamento, una maggiore autonomia educativa, una reale facilitazione, tante le " barriere" mentali e burocratiche costruite che hanno ulteriormente irrigidito un sistema educativo che al contrario dovrebbe avere per sua natura una disponibilità, una circolarità d'intenti, una collaborazione, una creatività accesa.
Nonostante le criticità siamo in molti a resistere e a lavorare con impegno e dedizione, consapevoli dell'importanza e della delicatezza di questa professione, che meriterebbe più riconoscimento e valorizzazione.
Anna Maria Mossi Giordano già educatrice nei nidi pubblici di Roma
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