Partecipare per crescere...Erano gli anni settanta e dovevo decidere cosa fare da grande. A tredici anni non è semplice comprendere quali siano i tuoi desideri e passioni, cambiano ogni giorno i tuoi punti di vista di adolescente inquieta. Le nostre famiglie avevano altro a cui pensare, non ti stavano con il fiato sul collo a pregarti di studiare per due semplici motivi: "dovevano impegnarsi a sbarcare il lunario, mio padre, soprattutto, avrebbe avuto piacere che io continuassi gli studi, ma ancor di più il suo sguardo, carico di aspettative era verso mio fratello, il primo figlio maschio."
Patti chiari. Lavorare, educare
Una cosa mio padre mi fece subito presente: se non avessi deciso quale scuola intraprendere, l'alternativa non sarebbe stata quella di oziare in casa, avrei dovuto cercarmi un lavoretto in attesa di chiarirmi le idee. Così andò: "dopo le scuole medie affrontai un anno sabbatico facendo la sciampista in un negozio di parrucchiera per qualche mese, poi approdai a stirare camicie in una tintoria." Ricordo perfettamente l'effetto che ebbe su di me questa esperienza precoce di dover sottostare a regole ed orari a quattordici anni. Iniziavo a guardare con invidia le mie coetanee che andavano a scuola . Del resto mia era la responsabilità, ed iniziavo a patire lo scotto! Man mano che passavano i mesi maturava in me la decisione di riprendere appena possibile gli studi, era già evidente la linea di demarcazione che mi separava dalle altre ragazzine della mia età , dandomi la consapevolezza che se fossi rimasta in quella situazione non avrei avuto vita facile. Una sorta di trappola dura da digerire.
La passione per l'infanzia
Un interesse lo avevo, ed erano i bambini! Fin da piccola mi incuriosivano i miei cuginetti più piccoli, ci giocavo, li coccolavo, inventavo storie, mi prendevo cura di loro. In quegli anni le donne si orientavano perlopiù verso le magistrali o scuole professionali femminili, i licei erano appetibili per i figli della media o piccola borghesia o per qualche figlio di operaio in cerca di riscatto sociale. Per una serie di fortunate coincidenze venni a scoprire l'esistenza della scuola Montessori per assistenti all'infanzia, trasformata dopo in scuola Montessori per educatori di comunità infantili. Per la mia giovane età ero comunque una ragazzina con una mentalità aperta ed un desiderio innato di libertà. Venni anche a sapere che solo da poco ci si poteva iscrivere a questa scuola una volta concluse le medie, prima si poteva accedere soltanto a diciotto anni, questo dettaglio non era di poco conto.
La scuola Montessori
Dopo indagini accurate sulla scuola Montessori, ne veniva fuori un quadro molto originale e particolare, non esistevano istituti con quelle caratteristiche. All'interno della scuola c'era un nido dove noi studentesse avremmo affrontato un tirocinio molto scrupoloso, questo luogo era schermato da specchi attraverso i quali si poteva osservare l'interno senza essere visti. Può sembrare un eccessivo controllo, ma lo spirito didattico e sperimentale era nella direzione dell'imparare ad osservare, tant'è che anche per noi studentesse erano previste delle ore di formazione " allo specchio". C'era anche una cucina dove ci insegnavano a cucinare i pasti adeguati, dal punto di vista nutrizionale, per la fascia di età 0/3 anni. Altro aspetto molto interessante era la cura e l'estetica nella presentazione del piatto. Non era accettabile impiattare un cibo con sciatteria, dovevano essere armonici anche i colori delle pietanze, si dava valore al momento del pranzo sotto tutti i vari aspetti: nutrizionale, conviviale, i bambini venivano aiutati a rendersi autonomi, fino ad arrivare a servirsi da soli, obiettivo importantissimo, per comprendere via via di quanto cibo avessero realmente bisogno di assumere. Finché è l'adulto che decide non lasciamo il bambino libero di sperimentare il senso di sazietà o al contrario di appetito. Ricordo che dovevamo pulire il bordo del piatto (come si fa ora negli innumerevoli programmi di cucina) ma nel mio caso parliamo degli anni settanta e di una cucina rivolta ai bambini, questa attenzione nei dettagli narra l'educazione al rispetto e la considerazione verso i bambini e le bambine, finalmente soggetti di diritto alla salute, al gioco, alla bellezza, al ben-essere, ad essere sostenuti e ascoltati nel loro percorso di autonomia e di crescita psicofisica/affettiva/creativa. Tematiche così importanti, diverse, rivoluzionarie. Una scuola che faceva veicolare entusiasmo e passione, nell'indagare il mondo dell'infanzia e i suoi reali bisogni, anche noi, giovani ragazze crescevamo in termini di consapevolezza, autonomia e autostima.
Le insegnanti
Le mie insegnanti erano perlopiù donne, con personalità spiccate, anticonformiste, fra queste ebbi la Elena Gianini Belotti l'autrice del famoso libro : "Dalla parte delle bambine".
Solo qualche anno dopo compresi di aver vissuto un'esperienza arricchente, unica e originale. In questa scuola si respirava una atmosfera femminista, nonostante fossimo tutte ragazze si affrontavano temi pedagogici e filosofici decisamente all'avanguardia per quei tempi.
L'approccio montessoriano mi stava facendo comprendere che i bambini e le bambine non erano dei vasi da riempire di informazioni, ma al contrario i bambini possedevano già dalla nascita una loro competenza, una necessità esplorativa, un desiderio potente di autonomia. La famosa frase di Maria Montessori: "aiutami a fare da solo/a" l'ho talmente fatta mia, da entrarmi dentro come un mantra benefico.
La teoria e la pratica
Uno degli aspetti che ritengo rivoluzionari di questa scuola furono le esperienze pratiche che facemmo in vari ambiti:
Orfanotrofio di Villa Pamphili
Ospedale San Camillo reparto maternità e bambini prematuri
Nido di Via Udine dove venivano ospitati figli di ragazze madri, un nido gestito secondo il pensiero montessoriano
La cucina nella scuola
Nido all'interno della scuola
Ho sempre avvertito da parte delle insegnanti, la volontà di far coniugare la teoria con la prassi, ci insegnavano a rendere coerenti le nostre azioni con il pensiero pedagogico di Maria Montessori. Potrei definire queste modalità di insegnamento: una scuola di vita, un via libera alle emozioni e all'ascolto, ci siamo sentite come adolescenti in crescita, prese in carico, tenute in mente dalle stesse insegnanti. Questo ci ha permesso di comprendere chiaramente, passo dopo passo, quale doveva essere il nostro atteggiamento nei confronti dei bambini. Solo l'esempio competente ed empatico di chi ti educa e insegna, può fornirti gli strumenti progettuali, teorici, emozionali per poter accedere a tua volta, ad una conoscenza educativa profonda e ad uno spirito critico ed osservativo necessario per chi vuole svolgere questa professione delicata.
Non solo insegnanti, ma maestre di vita!
Al terzo anno di scuola, al mio diciassettesimo anno di età la mia vita fu sconvolta da un tragico lutto: la morte prematura del mio amatissimo papà, aveva solo quarantacinque anni! Fu un trauma terribile, che mi rese per lunghi mesi quasi anestetizzata dalle emozioni, per quanto forte fu il dolore della perdita. Da studentessa brillante, diventai più chiusa, assente, distratta, tanti i problemi che dovevo affrontare, anche familiari per la mia giovane età. Studiavo e contemporaneamente si rese necessario che facessi dei lavori (soprattutto babysitter) per potermi in parte mantenere, la morte di mio padre destabilizzò tutto l'equilibrio familiare, anche quello economico. Racconto questa vicenda privata perché le insegnanti furono particolarmente attente, comprensive, affettuose…erano delle maestre di vita! Non erano interessate a fornire solo informazioni nozionistiche, ogni accadimento anche privato, diventava occasione di crescita emotiva, di opportunità educativa e di inclusione. Eravamo una comunità educante! Questo dovrebbe fare una scuola vera: prendersi cura, tenere in mente, costruire una pedagogia della solidarietà e dell'ascolto. Ci si dimentica che si ha a che fare con giovani ragazze o ragazzi in crescita, che stanno conoscendo il mondo, con tutte le insidie, le zone d'ombra e di luce. Sento di essere stata fortunata ad incontrare quelle insegnanti! La scuola Montessori cambiò la mia vita, la mia visione del mondo, alcune esperienze furono particolarmente forti, per una ragazzina di quindici/ sedici anni.
L'esperienza nell'orfanotrofio di Villa Pamphili
Ho ricordi molto nitidi di questa esperienza, l'impatto con questa realtà fu particolarmente scioccante. L'orfanotrofio era gestito da suore e purtroppo imparai in fretta che essere delle religiose non era garanzia di empatia, gentilezza ed accoglienza. Tanti i bambini abbandonati in quel luogo, vidi con i miei occhi e sentimento cosa potesse significare l'abbandono, la mancanza di una base affettiva sicura, stabile. Molti di quei bambini avevano delle stereotipie comportamentali a causa di queste deprivazioni affettive importanti, alcuni di loro si dondolavano nei letti come una sorta di consolazione auto indotta. Rimasi scossa, addolorata da questa situazione, avrei voluto portarli tutti a casa mia! Mi prodigavo insieme alle mie compagne di classe per cercare di dare il massimo in quelle poche ore di presenza. Le suore erano perlopiù anaffettive, provvedevano solo ai bisogni primari, raramente ho potuto vederle in atteggiamenti affettuosi e accoglienti. Di fronte a questa brutta realtà mi ponevo delle domande, senza riuscire a trovare delle risposte. Stavo entrando nel mondo delle contraddizioni degli adulti, delle incoerenze tra ciò che si professa e come si agisce. Maturavo giorno dopo giorno la consapevolezza di quello che fosse giusto fare e non fare, cresceva in me la ribellione verso una società che non protegge adeguatamente i più fragili: i bambini e le bambine, le donne in difficoltà. Si rafforzava in me la decisione che avrei lottato e denunciato se mi fossi trovata di fronte a situazioni simili dove i bambini e le donne non fossero rispettati e considerati. Un patto con me stessa, etico e di responsabilità educativa al quale non avrei potuto abdicare.
Nell'orfanotrofio feci quello che era nelle mie possibilità, questo percorso lasciò tracce indelebili nella mia coscienza, alcuni bambini sono ancora nella mia mente, spero davvero abbiano trovato delle buone famiglie in grado di prendersi cura di loro com'era giusto che fosse. Dopo qualche anno l'orfanotrofio fu chiuso per lasciare spazio alle case famiglia.
Reparto maternità del San Camillo
Il tirocinio nel reparto maternità del San Camillo fu un'esperienza che mi portò, mio malgrado, a crescere in fretta, più di quanto la vita, mi avesse già riservato con la scomparsa di mio padre. Certe realtà finché non le tocchi con mano e cuore non puoi renderti conto fino in fondo, della loro portata emotiva. In questa situazione sperimentai cosa significasse essere donna in quegli anni:" aspettare un bambino, partorire, dover affrontare un momento di una delicatezza estrema, dove ci si aspetta di essere accolte con l'attenzione dovuta. Una donna in procinto di partorire chiede rispetto, gentilezza e competenza da parte di chi dovrebbe prendersi cura di lei, per ridurre al minimo qualsiasi rischio che qualcosa possa andare storto".
Ma non era proprio così! La cultura del parto dolce, con minor dolore possibile, in un ambiente idoneo, con la presenza di un familiare o figura affettiva stentava ad affermarsi. Per questo noi tirocinanti venivamo percepite come degli " angeli" ( erano le parole delle donne ricoverate) perché stavamo accanto a loro durante il travaglio, le facevamo respirare come ci avevano insegnato a scuola, nonostante la nostra giovane età, cercavamo di dare conforto, ascolto o semplice vicinanza. Al contrario vidi medici e infermieri ( non tutti ovviamente) ma una parte cospicua, rivolgersi alle donne in procinto di partorire, con durezza, se mostravano eccessiva sofferenza ( secondo le loro valutazioni) iniziavano con una sequela di frasi ricorrenti aggressive e volgari. Ricordo che pensai esattamente questo: se partorire significa dover subire tutto questo unitamente alla sofferenza, non ci penso proprio! Tempi duri per le donne in quegli anni, i loro corpi, erano in balia dei medici e delle ostetriche di turno, non era scontato avere a fianco qualcuno di coscienza, sensibile e professionale, questa poca attenzione e cura nei confronti delle donne partorienti, poteva trasformare un evento lieto a esperienza traumatizzante. Potrei raccontare molti episodi di questa natura.
Ingiustizie
di genere e connessioni educative
Anche questo percorso mi traghettò in fretta nel mondo delle ingiustizie di genere, anche se dolorosa, la realtà con la quale mi stavo confrontando, ulteriormente e prematuramente, mi segnò in profondità, in termini di consapevolezza. Da quel preciso istante compresi che il mio impegno come umano essere femminile, sarebbe stato costante e presente, affinché l'evoluzione, la crescita, il riscatto, il rispetto e la libertà per ogni donna fossero i miei obiettivi primari. Occuparmi di educazione mi ha dato questa fondamentale opportunità.
Sono grata alla scuola Montessori, nonostante la durezza di alcune esperienze vissute forse troppo presto, ritengo sia stata una scuola di vita importante che ha " tracciato" aspetti valoriali e umani indelebili, un appuntamento con la verità, senza edulcorazioni. Un viaggio formativo autentico che aiutò me e le mie compagne di scuola a migliorarci come esseri umani, imparando a rispettare noi stesse, i bambini e le bambine costruendo passo dopo passo una impalcatura fluida ma resistente di conoscenza psico/pedagogica attraverso un costante riferimento alla teoria e alla prassi.
Queste sono state le basi educative sulle quali il pensiero di Maria Montessori costruì le sue fondamenta, nelle nostre anime di giovani ragazze.
Sono passati tanti anni da allora, fortunatamente molte cose sono cambiate, in virtù delle tante lotte femministe, abbiamo ottenuto diritti che negli anni settanta erano impensabili. La mia gratitudine va anche ai giganti della pedagogia come Maria Montessori e a tutte le mie insegnanti che portarono avanti il suo pensiero. Oggi nel 2023 sento che non dobbiamo abbassare la guardia, nonostante io sia in pensione quel bagaglio immenso esperienziale, sensoriale, umano e affettivo, vive e continua a trasformarsi ogni giorno in altre sfide da affrontare, in pensieri e riflessioni da condividere e agire, per l'amore immutato e la curiosità permanente dei misteri educativi e relazionali.
Per questo la sfida continua, tra discese e salite, tra luci e ombre, tra prove ed errori…nonostante tutto, dobbiamo resistere!
Ringrazio le mie compagne di scuola Alberta Celidonio e Rita Bigari con le quali mi sono confrontata per ricordare insieme quegli anni importanti. Ancora oggi il nostro filo di connessione educativa, affettiva e di amicizia è saldo e appassionato.
Anna Maria Mossi Giordano, già educatrice nei nidi pubblici di Roma
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